L’articolo 843 del codice civile disciplina un’importante limitazione legale del diritto di proprietà, bilanciando l’interesse del proprietario con le esigenze di conservazione e realizzazione di opere proprie del vicino o comuni.
La norma, collocata nel Libro III (“Della proprietà”), Titolo II (“Della proprietà fondiaria”), rappresenta un esempio di come il legislatore contemperi diritti individuali e utilità collettiva stabilendo che «il proprietario deve permettere l’accesso e il passaggio nel suo fondo, sempre che ne venga riconosciuta la necessità, al fine di costruire o riparare un muro o altra opera propria del vicino oppure comune». In caso di danni derivanti dall’accesso, è prevista un’indennità adeguata.
Questo articolo di legge trova applicazione sia nell’ambito di rapporti tra proprietari di fondi contigui sia nei contesti condominiali.
La necessità dell’accesso deve però essere oggettiva e non sostituibile con soluzioni alternative, come confermato anche dalla giurisprudenza laddove sostiene che il giudice (eventualmente adito) debba accertare se l’accesso richiesto sia l’unica via praticabile ovvero la meno onerosa.
L’accesso disciplinato dall’art. 843 c.c. non costituisce una servitù (ossia un diritto reale che grava stabilmente su un fondo/proprietà – c.d. fondo servente – a favore di un altro – c.d. fondo dominante, con caratteri di permanenza, continuità e utilità durevole), ma un’obbligazione propter rem, rappresentando un vincolo transitorio che grava sul proprietario (e i successivi proprietari) del “fondo servente”.
La differenza tra servitù e accesso ex art. 843 c.c. è, pertanto, sostanziale: l’accesso per riparazioni impone un obbligo circoscritto nel tempo, così come precisato anche dalla Corte di Cassazione (Ordinanza n. 5012/2018) definendolo una «limitazione legale del diritto di proprietà per un’utilità occasionale e transeunte».
Per esercitare il diritto di accesso ex art. 843 c.c., le condizioni che devono sussistere sono le seguenti:
1. Necessità dell’accesso: deve essere dimostrata l’impossibilità di eseguire i lavori senza transitare sul fondo altrui.
2. Finalità lecita: l’accesso deve essere finalizzato a costruire, riparare o mantenere opere proprie del vicino o comuni (es. rifacimento di facciate, manutenzione di impianti condominiali, tetti o lastrici solari).
3. Ripristino dello stato dei luoghi: chi esercita il diritto è tenuto a ripristinare il fondo o proprietà alle condizioni originarie.
L’art. 843 c.c. prevede poi un’indennità per il proprietario del fondo oggetto di accesso, dovuta unicamente in caso di danno concreto (es. danneggiamento di piante o beni e strutture, compromissione della privacy etc..), configurando una tipica ipotesi di responsabilità da atto lecito, cioè una conseguenza patrimoniale derivante da un comportamento autorizzato dalla legge (l’accesso per lavori necessari), che tuttavia può arrecare un danno al proprietario del fondo servente.
Sul punto la Cassazione (Sent. n. 20540/2020) ha infatti chiarito che «l’indennità non spetta per il mero disagio, ma richiede un pregiudizio effettivo».
Degna di nota è la recentissima sentenza della Suprema Corte (sez. II, n. 32707 del 16 dicembre 2024), che ha affrontato il tema dell’indennità per l’occupazione prolungata di giardini privati in ambito condominiale. La Corte ha stabilito che al condomino danneggiato spetti un’indennità equitativa anche senza necessità di dimostrare concretamente il danno subito, riconoscendo come danno-evento la semplice perdita della potenziale facoltà di utilizzo del giardino durante l’occupazione.
Questo orientamento rappresenta un importante sviluppo giurisprudenziale, in quanto estende la tutela del proprietario del fondo servente riconoscendo il diritto all’indennità anche in assenza di danni materiali specifici, valorizzando il principio di equilibrio tra il diritto di proprietà esclusiva e le esigenze condominiali di eseguire lavori necessari.
La quantificazione dell’indennità segue poi criteri equitativi, prendendo in considerazione l’entità del danno e la durata dell’accesso. In assenza di accordo tra le parti, è necessaria un’azione giudiziale per la liquidazione della stessa.
Nel caso, invece, di rifiuto ingiustificato del proprietario, l’interessato può agire in giudizio (anche in via d’urgenza) per ottenere un’ordine di accesso, eseguibile anche con l’ausilio dell’ufficiale giudiziario. Tuttavia, come sottolineato dalla sentenza della Corte di Cassazione n. 20555/2021: «l’obbligo di consentire l’accesso sussiste indipendentemente dall’intervento del giudice», il cui ruolo è meramente dichiarativo.
Alcuni casi pratici:
• Accesso a parti comuni condominiali: un condomino che detiene l’unico accesso al tetto deve consentire il passaggio per lavori di manutenzione, salvo diritto a indennità per eventuali danni.
• Installazione di ponteggi: il transito nel cortile del vicino per rifare la facciata legittima l’indennità se provati danni alle pavimentazioni.
• Riparazione di muri divisori: l’accesso è ammesso anche per opere interamente nel fondo del richiedente, purché necessarie.
In sintesi, l’art. 843 c.c. incarna il principio di solidarietà sociale, contemperando l’inviolabilità della proprietà con le esigenze di conservazione del patrimonio edilizio.
La sua applicazione richiede un bilanciamento caso per caso, nel rispetto dei criteri di necessità, proporzionalità e corresponsione dell’indennità quale contropartita equa.
È, quindi, consigliabile a chiunque si trovasse nella situazione di dover consentire l’accesso al proprio fondo o proprietà per l’esecuzione di lavori altrui e non fosse pienamente consapevole degli obblighi giuridici connessi, di richiedere una consulenza legale, al fine di tutelare i propri diritti e valutare adeguatamente le condizioni e l’eventuale indennità spettante.